“Cari fratelli e sorelle,
lo Spirito ci sospinge ancora una volta nel deserto quaresimale, un deserto di quaranta giorni, una quarantena che sottolinea ulteriormente il periodo di prova che il mondo vive ormai da un anno. La Quaresima, potremmo dire, è il metodo della Chiesa che non soccombe mai in mezzo alle difficoltà, ma in esse, con il lavoro della fede e delle opere, trae quella “energica ripresa” per ripartire, perché Dio non smette di parlarci e di salvarci anche nel bel mezzo di questa pandemia. Per questo : “Siate sobri e vigilanti per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,7-8). Così con le parole del primo degli Apostoli, Pietro, muoviamo i primi passi del nostro cammino.
1. Sobri… Sappiamo tutti che il tempo quaresimale è – per eccellenza – il tempo della penitenza intesa come digiuno spirituale e materiale. Ma perché il digiuno? Perché la vita sia piena dell’essenziale non di tante cose vane che lasciano vuoto il cuore mentre lo sguardo vaga come una trottola nella vanità. E l’essenziale è l’infinito amore di Cristo e dell’amore al nostro prossimo. A questo ci invita l’apostolo Pietro, spiegandolo in diversi punti della sua lettera: “Non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. Poiché sta scritto: Sarete santi perche io sono Santo” (1Pt 15-16). Il santo non è il bigotto, ma la persona rinnovata dalla presenza di Cristo crocifisso che ci ama sino alla fine. La nostra Quaresima, dunque, è tempo di sobrietà e di conversione dello sguardo e del cuore.
2. Vigilanti… A commento possiamo riferire subito un’altra esortazione dell’apostolo: “Siate sobri e vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede” (5,8). Nell’intendimento dell’apostolo la vigilanza non è solamente lo stare svegli attendendo il Signore che viene: Gesù richiede più volte questa vigilanza per accogliere lui nella preghiera, nel digiuno e nell’amore concreto ai fratelli. Nel Nuovo testamento si allude al giudizio che comincia già adesso e che sarà definitivo nel giudizio finale. “È questo il momento in cui ha inizio il giudizio a partire dalla casa di Dio (dai cristiani); e se comincia da noi, quale sarà la fine di coloro che non obbediscono al Vangelo di Dio? E se il giusto a stento si salverà, che ne sarà dell’empio del peccatore?” (4,17-18). Dopo aver invitato ad accettare la sofferenza e la persecuzione, l’incomprensione e l’emarginazione, conclude: “É quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona di gloria che non appassisce” (5,4). Questa vigilanza immette nella contemplazione, che è il terzo avviso offertoci dall’apostolo.
3…. per la preghiera… La vigilanza inculcata dall’apostolo Pietro ha come primo frutto l’essere e il sentirsi liberi per dedicarci a Dio: è la contemplazione e la preghiera. Riascoltiamo le belle parole: “Siate sobri e vigilanti per dedicarvi alla preghiera” (4,7). Dice ancora l’apostolo: “Onore a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo, sasso d’inciampo e pietra di scandalo. Essi vi inciampano perché non obbediscono alla parola”. (1,14). Non c’è bisogno di sforzo per comprendere come primo dovere ineludibile del cristiano è il dedicarsi a quella “parte migliore” lodata da Gesù: la preghiera di ascolto e la preghiera di intercessione. Il cristiano tanto vale quanto prega. La preghiera poi è soprattutto desiderio perché sia possibile ciò che dice San Paolo: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1Tess 5, 17-18). Non possiamo mettere da parte le nostre attività e la cura verso i poveri per pregare, ma in ogni cosa possiamo mantenere vivo il desiderio ardente della pienezza della vita anche nelle cose più umili che si fanno. La preghiera è la domanda e l’offerta al Signore affinché ciò che facciamo, pur nella sua ordinarietà, non sia banale, ma pieno di senso. Ma cosa ci dà questa pienezza? E’ solamente il fatto che qualcuno ci guarda, ci chiama per nome e cura le nostre ferite come buon samaritano. Così l’amore e la passione di Cristo illuminano la nostra vita. La Quaresima è il tempo privilegiato per essere commossi dall’amore di Cristo che si abbandona totalmente al Padre e ci apre la via della resurrezione. Sarà importante quindi riprendere in mano il Vangelo, farne oggetto di lettura quotidiana in questi quaranta giorni, sostituendo questa operazione alle altre mille banalità che riempiono i nostri tempi liberi.
4. …e la carità. Qui l’apostolo sembra volersi diffondere ampiamente, ascoltiamolo: “Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. Ciascuno, secondo il dono ricevuto lo metta a servizio degli altri come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio” (4,8-10) E ancora: “Dopo aver purificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente di vero cuore, gli uni gli altri” (1,22). E ancora: “Siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili. Non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma rispondete augurando il bene. A questo, infatti, siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la benedizione” (3,8-9). “Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà la grazia agli umili” (5,5). Quale insistenza, fratelli! Si tratta di un maestro che è stato alla scuola di Gesù… Come si vede, parlando di carità l’apostolo si riferisce immediatamente a quell’amore fraterno, fatto di umiltà, di vicendevole sottomissione, di servizio, di comprensione, di perdono, che deve distinguere i membri della comunità cristiana.
La nostra Quaresima, dunque, non può non essere un tempo di più fervoroso impegno di carità fraterna. Sarebbe un’illusione adoperarsi nella solidarietà, nel soccorso ai fratelli lontani, se prima non si decidesse di restituire splendore a quella testimonianza di unione profonda che distinse la prima comunità cristiana, non scevra peraltro di contrasti e di tensioni, come ci attestano gli Atti degli Apostoli. Allora decidiamoci, fratelli, a volerci bene sul serio, con vicendevole accettazione e sopportazione, pronti sempre al perdono e mai sospinti a rendere male per male.
Solamente così, la comunità cristiana, docile alle esortazioni del Papa, sarà un faro di luce nel soccorso alle categorie più deboli e bisognose. Anch’io vi esorto caldamente a far sì che questa Quaresima – la chiamiamo “Quaresima di fraternità” – ci aiuti a pensare concretamente a chi è nel bisogno e nella estrema povertà.
Nella chiusura globale dell’anno passato, nell’incertezza e nello smarrimento di una situazione sconosciuta, nella nostra diocesi è brillato un faro che difficilmente dimenticherò ovvero la maratona di opere buone per le famiglie in difficoltà: parrocchie, associazioni, privati, sono stati sospinti dal desiderio e dalla necessità di fare del bene ai poveri e i poveri da noi sono davvero tanti. È una fraternità che non deve essere episodica ma vissuta nei sentieri della condivisione e della presa in carico di tante fragilità. Ci rendiamo conto in questi giorni che la strada per uscire dall’emergenza sanitaria è finalmente tracciata ma è ancora lunga. Dobbiamo dare prova di grande responsabilità e attenzione. Sebbene tanti di noi siano stati toccati anche in maniera grave dal virus, ancora c’è chi nega la gravità della situazione. Auspico vivamente, come anche richiesto da papa Francesco, che il vaccino arrivi presto e per tutti, che le categorie a rischio vengano messe presto al riparo dal pericolo e che sia motivo per beneficiare di un diritto uguale per tutti. Dobbiamo continuare a pregare per tutti gli operatori sanitari. Chi grazie a Dio non viene interessato dal contagio, difficilmente immagina quanto sia complicato e talvolta drammatico questo periodo negli ospedali e nelle cliniche. Così come anche non bisogna sottovalutare gli strascichi psicologici che porta con sé l’esperienza di questa malattia, sia nelle misure preventive che sono comunque sia pesanti che in quelle curative che hanno dei risvolti alienanti. Dobbiamo farci prossimi a tutti, gli uni agli altri. La Chiesa deve attrezzare la sua locanda proprio nel bel mezzo del tragitto di questa pandemia, per permettere l’incontro sulla strada di Gesù, Buon Samaritano, a coloro che incappano nei molti briganti di questa stagione (malattia, povertà, emergenza lavorativa, solitudine, smarrimento, cattiveria, depressione…).
Purtroppo Taranto, oltre alla pandemia, deve combattere più battaglie ma non bisogna scoraggiarsi, anzi riuscire finalmente ad eliminare ogni rischio per la salute dei tarantini e degli operai dello stabilimento siderurgico. Se le indagini epidemiologiche dicono che l’acciaieria immette sulla città sostanze pericolose – e non lo scopriamo ora – è il momento che la politica trovi soluzioni efficaci, globali e definitive. Evidentemente, e ora più che mai, il nuovo Governo ne ha la possibilità grazie all’ingente quantità di risorse destinate al Green Deal tra quelle spettanti all’Italia con il Recovery Fund dall’Europa. Se rinascita del Paese deve essere non può che partire da Taranto, archetipo del fallimento dell’economia che ha messo al centro del suo agire il profitto.
Come Papa Francesco ci ha più volte invitato a fare, come i tarantini chiedono da tempo, ripartiamo dal valore della persona umana, dalla difesa della vita e quindi della dignità del lavoro, da quella ecologia integrale che è diventata la strada maestra da percorrere. Questa è la strada che percorreremo nella prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani che si terrà qui a Taranto dal 21 al 24 ottobre di quest’anno.
Fratelli, siamo sobri e vigilanti per poterci dedicare più assiduamente all’ascolto della Parola e alla preghiera. Siamo umili e coerenti per amarci vicendevolmente secondo il precetto della carità, facendo traboccare questo nostro amore intorno a noi, laddove maggiore è la necessità e il bisogno. E siamo portatori di speranza per tutti.
Col mio abbraccio e la benedizione del Signore.”
† Filippo Santoro
Arcivescovo